Il fascino discreto degli stand pugliesi a Vinitaly

stand azienda monaci

Più guardiamo le foto degli stand dei produttori pugliesi presenti al Vinitaly (c’è un Live tweeting mica male dall’account dell’Assessorato alle Risorse Agroalimentari di Dario Stefàno) e più ci rendiamo conto che, in quanto a eleganza e savoir faire, non siamo secondi a nessuno. Il bianco domina su tutti gli altri colori, interrotto qua e là da una macchia scura di vino rosso. Che sia reale o prevista dal designer, poco importa. Anche il più raffinato stand del Nord-Est può solo invidiarci: tutta tecnica e contenuto, quando, in questo campo, la forma vuole più che mai la sua parte. Il più bello di tutti forse è lo spazio destinato a Castello Monaci, con la “M” del logo che fa anche da espositore delle bottiglie. Ci spiega Luigi Seracca Guerrieri, del Giv: "Il trattino che divide a metà la M sta per la strada lunga un chilometro che divide i vigneti che vanno verso Castello Monaci".

Un altro degli stand salentini più ammirati nel Padiglione pugliese al Vinitaly 2011 è quello dei Feudi di Guagnano. La cantina ha scelto lo stesso settore dello scorso anno (il D5 del padiglione 10, destinato alla Puglia, ovviamente). Ma per questa edizione ha optato per un look total tricolore. Non gli è bastato il mega separè con calice nero su fondo verde, bianco e rosso (“Viva i vini italiani”, scritta in oro sul nero del vino). Non gli è bastato - per inciso - avere una delle più simpatiche standiste della manifestazione. Ha voluto pure esporre una bandiera italiana originale del 1861, messa a disposizione dalla sezione guagnanese della "Società Operaia”, fondata proprio in quell’anno. Quanti culuri, quanti culuri me faci cangià. Anche tre alla volta.

Non scherza neanche lo spazio dedicato ai vini di Tenute Materdomini, presentate a Verona da uno standista d'eccezione: Pierandrea Semeraro (fotografatissimo dalle nostre inviate Francesca e Valeria). Il presidente dell'Unione Sportiva Lecce ha scelto un contrasto fra bianchi e rossi rubino, facendo particolare attenzione alle sedute: divani e sgabelli a go-go per i suoi graditi ospiti, che siano addetti ai lavori, giornalisti o semplici visitatori.

Ma che la Puglia fosse dotata di una marcia in più lo si sarebbe capito anche dalla semplice immagine scelta come "mascotte" del suo padiglione regionale. Vi compare una strafiga che sta per annusare dei chicchi d’uva nera, che tiene nelle due mani, aperte a coppa. Sugli occhi ha una specie di benda, che è in realtà, nella metafora della grafica, un ritaglio di carta con sopra impressi landmarks pugliesi (c’è Santa Croce a Lecce come Castel del Monte). Nel prodotto che si accinge a degustare, prima ancora di “presenze di more” o “sentori di armadillo” o altre tipiche seghe mentali da sommelier, in pratica, la strafiga vede molto di più che il solo terroir che ha generato quell’uva. Illustrazione migliore non poteva esserci per il motto scelto dalla nostra regione: “Puglia. Dove la terra diventa vino”. E’ corretto far pregustare questo ai media adesso, prima di cominciare a darci giù pesante in materia di negroamari e primitivi, dal 7 all’11 aprile, al padiglione 10.

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