#SafePassage: gli angeli pescatori di Corsano

In fondo, una barca in mezzo al mare che cosa può fare? Può tentare di salvare una vita. Da secoli il mare racconta storie di uomini che pongono al centro del loro navigare una speranza, il diritto ad un altrove. Lo sanno bene Salvatore Casciaro e suo figlio Michele, appena 27enne, i due pescatori salentini che partono da Corsano e si imbarcano al porticciolo prendendo la via del mare per salvare i migranti. La loro storia, al centro di un mare da troppo tempo avaro di miracoli, è un faro che lampeggia ed indica il percorso, il ponte umano tra paesi che spingono alla fuga ed altri che rifiutano di accogliere.

Il mare che abbraccia il Salento e specialmente quel tratto di costa, la casa di Salvatore e Michele, ti lascia facilmente dimenticare le ferite dell'immigrazione e della falsa tolleranza, la bellezza di questo mare è spesso al centro del racconto di un territorio che si è fatto varco per vocazione geografica. Salvatore (il destino nel nome, n.d.r.) conosce questo mare da tanto tempo, ne conosce il risvolto tragico, le vite che prende, le speranze che spezza.

Negli anni '90, gli anni dell'esodo albanese, questo angelo-pescatore ha assistito all'arrivo dei migranti albanesi che tentavano di avventurarsi nel Canale d'Otranto a bordo di carrette del mare. Ha visto donne e bambini disperati, ha conosciuto la disperazione e la consapevolezza di non farcela, l'impotenza muta, la perdita. Nel mese di gennaio, la generosità della famiglia Casciaro ha riempito le colonne dei giornali, dopo lo sbarco notturno a Novaglie, gli scafisti erano scappati abbandonando i migranti in mare, 42 somali in balia delle onde. Salvatore e Michele a bordo della loro barca si sono uniti ai soccorritori in cerca dei dispersi, sono riusciti a salvare una donna.

«Il litorale in quel tratto è pieno di piccole insenature con acqua bassa e scogli affioranti e per i mezzi di Guardia Costiera e Finanza è impossibile avvicinarsi - ha raccontato Michele - abbiamo navigato per un'ora in cerca dei naufraghi e poi abbiamo avvistato una donna e l'abbiamo raggiunta: era sola, al buio, aggrappata ad uno scoglio tra Novaglie e il Ciolo. Era spaventata e infreddolita, aveva ferite ai piedi e alla testa».

Non amano sentirsi chiamare eroi, sono uomini, pescatori, gente che scende dal letto e torna al mare cercando di fare il possibile. «In tanti ci chiedono perché lo facciamo senza avere nulla in cambio e la mia risposta è sempre la stessa: se tua madre o tua sorella fosse in pericolo non pregheresti che qualcuno la aiutasse? Ringraziamo Dio per aver trovato quella donna ma la cosa che mi rattrista di più e che quando eravamo piccoli mio padre veniva chiamato per “raccogliere” dal mare donne, uomini e bambini albanesi e io mi chiedo quando questo mare finirà finalmente di ingoiare persone».

Ed è in queste semplici parole che nella Giornata della Marcia Europea per i Diritti dei Rifugiati, #SafePassage, che possiamo ricollocare il senso di una risposta peculiarmente umana alla grande domanda sul mondo. Il mondo che ogni giorno milioni di donne, uomini e bambini, sfidano per conquistare identità e cittadinanza. In fondo, una barca in mezzo al mare che cosa può fare? Può tentare di salvare una vita.

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