
di Luisa Ruggio
Entrare nel Campanile del Duomo di Lecce è muoversi lungo scalini passionali, è sapere che si va verso le nuvole che passano sulla città, proprio come noi la attraversiamo con le nostre vite minuscole, piene di storie invisibili che il più delle volte non lasciano traccia e si trasformano in cose che sono come il vento, la sabbia, la polvere.
Chi è passato di qui prima di noi, chi ha oltrepassato i vari piani del campanile, ha ritrovato alcune percezioni che ci si rivelano solo in sogno, quando saliamo lungo scalini infiniti, in spazi sempre più stretti, in cerca della luce, della vita. Forse scalare da dentro questo campanile, assomiglia allo sforzo di nascere. E questi metri che traguardano il Mare Adriatico, oltre alla distesa di tetti e corti e vicoli, sono un enorme utero di pietra che ci fa da varco e da guardiano per il tempo che ci è concesso, inconoscibile, indeducibile.
E allora, entrare nel Campanile del Duomo di Lecce, è passare le mani sui segni incisi nella pietra da chi ha sentito questo, esattamente questo, un secolo fa, due secoli fa, nel 1920, nel 1860, le date e i nomi e le calligrafie non si contano, sono paragrafi umani, spaginati nella vertigine di questo segnalibro gigantesco. Sì, se questa città è un grande libro in continua stesura e noi ne siamo i lettori di passaggio, il Campanile è il nostro gigantesco segnalibro di pietra.
Superata la campana, superata l'ultima torretta, c'è solo il vento, c'è solo spazio, uccelli in volo, suoni che arrivano come ti raggiungono certe memorie rese liquide dal continuo montaggio della mente. Ci sono diversi tipi di vertigine, oggi li abbiamo provati tutti.
A 72 metri di altezza - tanto all'incirca è alto il Campanile del Duomo di Lecce che oggi abbiamo "invaso" partecipando all'iniziativa nazionale #invasionidigitali cui abbiamo dedicato un apposito hastag: #tiportoincim@ - la vertigine di essere vivi, di essere qui e ora, in questo quando, in questo dove, ti raggiunge e ti tiene in scacco.
Esiste un limite fatale nelle percezioni umane? In certi luoghi quel limite viene superato. Non è solo un'invasione digitale quella che abbiamo portato a compimento oggi, entrando per la prima volta nella Storia, con le telecamere e gli smartphone in uno tra i campanili più antichi e più alti d'Europa, siamo saliti in un piano intermedio tra la gioia di essere al mondo e la consapevolezza che comporta.
Una consapevolezza fatta di strane cartoline, se così possiamo definirle, di pietra erosa, dove sconosciuti vissuti tanto tempo fa ci hanno lasciato un saluto, un cenno. Un suono del loro respiro consumatosi nel sole, asciugato dal vento. Da lassù, Lecce ci è apparsa come una bolla di luce, nel suo riverbero più intenso: Stella, 1683 - Torino Francesco 1925 - Colamonaco Francesco Altamura 1874 - Io...
Per un po' siamo rimasti in silenzio, abbiamo solo ascoltato. Così come è scritto nel Campanile: "Tu che passi e non sei pietra, ascolta ciò che io, pietra, ti dico".