Cinema Santa Lucia: il film è finito, andate in pace. (agli ultimi proiezionisti)

di Luisa Ruggio

Una volta Carmelo Bene disse che quando si rompeva la pellicola, al paese, tutti fischiavano al proiezionista "Faccia presto!", ma per lui era accaduto un fatto, l’unico: “Si è rotta la pellicola – commentava – perché è un fattore dell’inconscio, deve essere colpa di qualcuno: il proiezionista. E’ lui l’autore, l’artefice vero”. Faccia presto. C’è stato un periodo, più o meno lungo, in cui, a Lecce, nessuno andava più al cinema; nelle case era arrivato il vhs e poi il dvd, per cui non si vendevano nemmeno i ridotti.
La cassiera del Cinema Ariston, poi dismesso per fare spazio a una Sala Bingo, se ne stava dietro il bancone di legno a lavorare a maglia per ingannare l’attesa degli spettatori che, per anni, tardarono ad arrivare. Come lei, anche i suoi colleghi del Cinema Santa Lucia, del Massimo, dell’Odeon, del Don Bosco e del Cine-Teatro Antoniano, aspettavano. Allora, l’ultima generazione di proiezionisti, dopo aver osservato le sale vuote dallo spioncino accanto al proiettore, lasciavano i loro abitacoli e scendevano nel foyer a fare due chiacchiere con i baristi e le maschere.

Parlavano di quel mestiere che gli era stato insegnato da un vecchio con la giacca da pescatore in tutte le stagioni, se ne stava rintanato in una soffitta piena di vecchi macchinari e bobine e aveva smesso di avere un nome e un cognome perché da anni, ormai, tutti lo chiamavano Maestro. I suoi discepoli, invece, conservano ancora i loro nomi, Pasquale – che da anni è un proiezionista in pensione, anche se fino all'ultimo giorno di proiezione ha continuato a sgattaiolare in cima all’abitacolo del Cinema Santa Lucia, nel quartiere San Lazzaro – e Daniele, il più giovane, l’ultimo proiezionista, che proiettava fino all'anno scorso nella sala del Cine-Teatro Antoniano e assomiglia, vagamente, a Luca Carboni.
Se li chiami per cognome si infastidiscono, perciò adesso, mentre Lecce perde un altro cinema storico, il Santa Lucia, i nomi da imparare a memoria, assolutamente, sono i loro. Pasquale e Daniele.
Probabile che non abbiate mai sentito parlare di nessuno dei due, c’è sempre una prima volta. I cinema che sono rimasti in piedi in questa città, così come molte sale sparse nella provincia, sono la loro storia. Centrare sullo schermo un film per gli altri, è stata la loro felicità e, qualche volta, la loro malinconia; da quegli sconosciuti seduti tra le file di un cinema periferico, al buio, hanno ricevuto in cambio interi pomeriggi, serate e ultimi spettacoli.

Pasquale e Daniele, sono gli ultimi testimoni di una specie umana che riesce a procurarsi il buio necessario per la proiezione di un film, anche in piena mattina, quando fuori impera la dittatura del sole. E quel buio è parte integrante di un mestiere che l’editing del tempo, dei multisala, dei nuovi intrattenimenti, sta lasciando scivolare dentro un livello più comunemente noto come passato. Il 2011, è stato l’anno in cui gli addetti ai lavori del Cinema Odeon hanno gettato la spugna e si sono arresi, il piccolo corridoio dietro Porta Rudiae è stato chiuso, la maschera ha staccato l’ultima locandina dalla vetrinetta che avvisava i passanti: “Oggi in programmazione”, oppure, “Domani”. Il 2013 è l'anno del Santa Lucia.

Da quando Pasquale è andato in pensione e traffica nei mercatini nostalgia, altrimenti detti vintage, con la sua collezione di locandine d’epoca e fumetti e cose, a nutrire l’intimità degli spettatori che scelgono ancora di andarsi a sedere sulle poltroncine anni settanta del Cine-Teatro Antoniano è rimasto soltanto Daniele. Va da sé, dunque, che lui è l’ultimo proiezionista in questa città. Se dovesse spiegare che cosa significa, per lui, essere l’ultimo, parlerebbe del suo abitacolo, quella soffitta dove ci sono ancora le locandine di Pasquale, i marchingegni fantastici del Maestro: strofinacci sulle spalliere delle sedie, pezzi di proiettori andati, mascherine, otturatori, la lampada, cose così.

Quando gli spettatori non arrivavano, anche senza l’incasso necessario a mantenere le spese per una settimana, se c’era un buon film in cartellone, una gioia intraducibile se lo prendeva. Talvolta, all’ora del primo spettacolo, proiettava il film per un solo spettatore, non si tirava indietro sebbene, per anni, si sia sentito dire che fare il proiezionista non è come avere un vero lavoro. Daniele resta in cima alla sua contrarietà, la scemenza non lo indispone neanche, lui ha avuto per tutta la vita la prospettiva del secondo tempo, dell’ultimo spettacolo, nelle pause succhiava via il liquore dai cioccolatini ripensando al Maestro. In passato, di tanto in tanto, quando le gambe lo reggevano ancora, Daniele riceveva le sue visite inattese, nell’abitacolo, nel bel mezzo di un film. Se ne restavano lì, il Maestro e l’allievo, come davanti a un fuoco, mentre gli spettatori, da basso, ignoravano le loro vite e le loro passioni.

Quelle visite erano fatte di poche parole e rituali silenziosi, il Maestro considerava i dialoghi una deformazione professionale. Tutte le volte che si accende una sigaretta, Daniele, l’ultimo proiezionista, ci ripensa: prima, al cinema, si poteva fumare. Il Maestro, non ha voluto passare il mestiere - il più bello del mondo - a nessun altro, ha scelto attentamente i suoi successori, gente che nel corso della vita ha finito col parlare più spesso con i primi piani sullo schermo che con i propri parenti. Durante i matinee, prima che arrivassero le scolaresche, l’ultimo proiezionista accendeva la radio, certe volte trasmettevano vecchie canzoni, se gli capitava di intercettare La bamba, si metteva a canticchiarne il ritornello, come faceva da ragazzo: para bailar la bamba se necesita una poca de gracia. Che tradotto nella sua lingua, su per giù, vuol dire: un poco di grazia. Come se tutta la varietà dei film che ha proiettato sia stata circoscritta in quella sintesi a posteriori.

Ancora oggi, se un film è assoluto, mentre lo guarda, gli tremano le gambe; l’ultimo proiezionista non riesce a gestire i finali. Come i romanzieri, ha bisogno di riscrivere i lungometraggi molte volte prima di accettarne l’epilogo. Gli spettatori che restano seduti durante i titoli di coda, sono stati sempre i suoi preferiti, una prova della veridicità delle sue giornate, la forza di sottrarsi a una maggioranza. Nessuno di loro si è fermato a stringergli la mano dopo l'ultimo spettacolo, nessuno lo riconosce, nessuno lo ha ringraziato. D’altronde è comprensibile: come lo riconosci un fattore dell’inconscio, l’artefice vero?