Il collezionista di nostalgie, Mesciu Corradu e l'altra Fòcara

di Luisa Ruggio

Mesciu Corradu, questo è il suo nome in dialetto salentino, a Novoli lo chiamano tutti così. Lo conoscono da sempre, del resto, come conoscono una certa atmosfera, quella della vigilia del fuoco - la Fòcara offerta a Sant’Antonio Abate - che si è mescolata alle storie e alla memoria collettiva.
Corrado Fiore ha 87 anni ed è un collezionista di nostalgie. Le archivia dall’età di cinque anni, quando ha cominciato a lavorare e a conservare, un oggetto dopo l’altro, le scorie - per così dire - di un piccolo mondo antico fatto di macchine per cucire, biciclette, lampadari e carabattole. Cose così, che sembrano niente. E sono tempo, invece. Nostalgie stipate dentro un deposito che è diventato l’involontario museo di una vita trascorsa a offrire un vino sentimentale, di sostanza, a quanti passano dalla sua Fiaschetteria, anche solo per stringergli la mano, a Novoli, nel posto dove il senso della festa trova la sua matrice umana, amara e dolce.

A ben vedere, solo una concentrazione sui racconti, gli aneddoti del Salento più nascosto, il più intimo, somiglia allo strano viaggio da palombari offerto a chi varca la porta dello Stabilimento, come Corrado ridendo chiama il suo museo personale. Un luogo che non sa di essere diventato simbolico e che come tutte le cose vere - le sole che contino qualcosa - resta elementare, semplice. E’ qui che gli uomini della banda musicale si spingono suonando, come se scortassero ancora il santo, dopo i fuochi diurni che seguono alla Notte del Fuoco. Vanno da Corrado quando finisce lo spettacolo pirotecnico dei maestri fuochisti, mentre la Fòcara brucia consumandosi e piove cenere, forse perché sentono che nel suo sguardo, nel suo vino moscato, tutto finisce e ricomincia di nuovo, il cerchio delle loro vite si chiude e si riapre immediatamente.

E’ un momento speciale, identitario, tribale: un intero paese si lascia attrarre da un altro fuoco - peculiarmente umano - e rende omaggio a quello che sembra essere diventato il custode di un rito e del cuore di un popolo. Per sentire davvero questa festa, bisogna orientarsi insieme al corteo che segue la banda e sa da quale vicolo arriverà Mesciu Corradu, pronto per l’appuntamento, con le chiavi che aprono il suo deposito solo in questi giorni dell’anno.
Quando lui arriva, porta con sé i ricordi di tutti questi uomini, li fa brillare di nuovo, come un altro fuoco d’artificio, l’ultimo, quello invisibile.

Così, dopo averlo incontrato, mi viene da pensare che in questo bordo di mondo, come altrove, c’è sempre il rischio di non riuscire a cogliere l’essenza di un luogo: vivere una vita nel Salento, per esempio, e il vero Salento non incontrarlo mai.
Bisogna avere molta fortuna per incrociare sguardi come quelli di Corrado, nel surreale cabaret di tipi umani che una festa popolare combina.
Bisogna cercare attentamente i piccoli posti segreti dove il Salento si rivela, come un fuoco che brucia in una notte d’inverno.