Lecce-Verona a/r, backstage on the road

di Luisa Ruggio

La strada è sempre stata, così come i viaggi in auto, uno strumento proletario. I romanzieri le hanno involontariamente imposto un rango letterario, ma la strada ignora questi meccanismi umani. Io no, tutta colpa di Kerouac se per anni mi sono procurata quelle che mia nonna chiama coliche d’immaginazione pensandomi in viaggio on the road.
Nella mia immaginazione tutto è perfetto: non soffro di cervicale fulminante, la radio non trasmette musica moderna, e soprattutto Viviana e Mino non si danno mai il cambio al volante, guida sempre Kerouac. Quest’ultimo lo conoscete per via della sua implacabile lezione di follia che continua a fomentare la febbre di generazioni di autostoppisti. Viviana e Mino, invece, sono stati i miei compagni di disavventure nell’epico viaggio Lecce – Verona a/r che ci ha fatto capire fino in fondo l’importanza di avere uno stuntman personale – così come ce l’ha Tom Cruise, ragazzi, nelle sequenze spericolate di Mission Impossible – quando come tre liceali in gita si va al Vinitaly 2013 armati di tutta l’attrezzatura necessaria a raccontarlo: telecamera, iPad, microfoni, faretti, macchine fotografiche, iPhone e Travelgum (se soffrite di mal d’auto).

Lo staff (ovvero noialtri di InCima e SalentoWebTv) parte da Lecce di domenica con la sensazione nota ai fans di Steve McQueen: bisogna accelerare, bisogna bruciare i freni. C’è una grande distanza geografica tra Lecce e Verona, per coprirla in una manciata di ore è necessario che guidi una donna, non una donna qualunque, ma una che si lega i capelli con una penna quando il momento si fa duro e non rinuncia ai tacchi alti nemmeno dopo svariate ore di imprevisti, quel genere di cose che volente o nolente si intrecciano al nostro lavoro. Se fosse l’eroina di un telefilm, Viviana sarebbe Wonder Woman e infatti la soprannominiamo Wonder, ci aspettiamo di vederla nell’atto di piegare l’acciaio inossidabile come Lynda Carter da un momento all'altro, proprio come nella celebre sigletta.
All’andata si concede stranamente un momento di riposo, per il gusto di mettersi a fotografare le auto della polizia che non rispettano i limiti di velocità oppure per salutare l’incredulo autista di una limousine che sbuca da chissà dove con il suo salotto in miniatura al posto del sedile posteriore.

In un autogrill dove ci fermiamo a pranzare, Mino comincia a socializzare a modo suo con gli sconosciuti, telecamera in spalla e domanda da speaker radiofonico pronta a suscitare l’ilarità generale. Io lo osservo e penso: c’è un elemento atavico in lui, qualcosa che mi fa pensare alle strisce dei Peanuts, Snoopy e compagnia bella. Quando lui passa al volante, il mio mal d’auto è una certezza. “Vuoi mettere tutte e due quelle mani sul volante?!” lo incalza Wonder mentre scatta foto ai caramba e piega acciaio inossidabile intanto che io sul sedile posteriore boccheggio pensando che in fatto di cervicale Kerouac non mi somigliava per niente.

Il vento ci sposta facendo sembrare una barchetta di carta il Berlingo su cui viaggiamo. Arriviamo a Verona nel tardo pomeriggio, battendo la luce del suono e i trucchi di Houdini. Potrei dire: perdersi appresso al navigatore impazzito, riuscire ad entrare a Verona Fiere prima ancora di ritirare i pass stampa, caricare un video al tavolo di un ristorante in tarda serata, andare a vedere al volo il balcone di Giulietta e Romeo, procurarsi una cervicale spettacolare e a fine giornata uscire comunque a respirare un poco della città che ci vede passare. Ma quel che ricorderò di questo micro-viaggio è il ritorno, a partire dall’improbabile colonna sonora che Mino ascolta sotto la doccia, una roba firmata Nino D’Angelo. “Mi raccomando,” dico a Viviana quando è il suo turno di relax, “ascolta anche tu Nino D’Angelo sotto la doccia”.

La mattina del rientro ci succede di tutto mentre i telefonini squillano e gli imprevisti si accavallano anche a chilometri di distanza. Per una quarantina di chilometri non riusciamo a trovare un distributore e per un lunghissimo momento vediamo passare le nostre tre vite miserrime al rallentatore, proprio come promesso dai luoghi comuni circa le fasi di pre-morte. La spia rossa ci dice che il Berlingo si fermerà su una strada senza uscite mentre i tir ci fanno ciao come le caprette di Heidi e Mino dimentica tutte le parole delle canzone che conosce e Viviana cerca di far funzionare tutti i poteri da Wonder. Da vecchi ce lo ricorderemo, son quelle cose a cui pensi e ridi. Lì per lì c’è poco da ridere, ma quando troviamo una corsia di decelerazione ci fermiamo a sbracciarci per farci notare da un addetto Anas all’altra parte della carreggiata, troppo distante da dove siamo per sentirci, cominciamo a ridere per smollare tutta la tensione.
Faremo un pezzo di strada a bordo di un carro attrezzi dopo l’arrivo dei soccorsi, Mino è indeciso: prendo la telecamera e filmo il backstage surreale o scavalco il guardrail e corro verso la gloria?

Sulla strada ridiamo, io provo a dormire, Wonder guida a tavoletta, Mino si barcamena tra telefonate e aggiornamenti tecnici. Fuori dal finestrino scorrono panorami verdi, cieli rigati di stormi, luce che trascolora.
Annoterei certi autoscatti che ci facciamo ogni volta che sfioriamo la certezza di essere scampati al momentaccio. Quegli autoscatti dicono il backstage del nostro mestiere e forse la parte migliore del nostro stare insieme, per ore, fondendo necessariamente le nostre molte diversità, i nostri caratteri, i nostri punti di vista sulle cose e sulla vita. Quando metto piede a casa, provo ad adottare il punto di vista di Mino, per dirne una, cerco di capire Nino D’Angelo. Sotto la doccia. E scoppio a ridere come un’idiota.