Le conseguenze di Sanremo.


di Luisa Ruggio

Le conseguenze di Sanremo? A dire il vero la signora del terzo piano, Eugenia Montinaro, si ripeteva, tra sé e sé (mentre predisponeva la sua platea personale nella tavernetta dove sono appesi i calendari in stoffa del 1980 e giù di lì) che il Festival di Sanremo è uno spettacolo grossolano.
Ha settant’anni suonati, vive dalla notte dei tempi in una palazzina dietro la Stazione di Lecce e ogni anno ha tutta l’intenzione di dare fondo al suo potenziale sentimentale distruttivo, le piace aggiustarsi lo spirito con una volgare abbuffata di canzonette.

Ha l’età per amare, dieci canzoni per lei posson bastare, pensa che un sogno così non ritorni mai più.
Diciamocelo: l’apertura e l'epilogo delle serate che la Rai dedica al rito annuale delle polemiche, dei favoriti, delle primedonne e tutto quello che fa brodo – eccetto le canzoni – riescono a farle dimenticare per un poco quel fastidioso fatto della morte corporale, questo tremendo programma esistenziale al quale oppone programmi televisivi altrettanto tremendi. Antonio Maggio, il vincitore della Sezione Giovani, per lei è un bravo ragazzo. Le ricorda Celentano, non sa perché.
Celentano per lei è un sant’uomo, una specie di reverendo sexy, come quel tale perfetto nel ruolo di Padre Raph in “Uccelli di Rovo” (sarebbero un toccasana le eventuali repliche di quelle puntate per i suoi reumatismi). Ma comunque, meglio non divagare, si concentra su Celentano la signora Montinaro: non ha mai capito perché le piace, lo segue da quando faceva quei passi a due (si fa per dire) con la Carrà, all’epoca la Rai trasmetteva solo in bianco e nero e Sanremo sfornava certe belle canzoni.

Secondo la signora Montinaro, bisogna dolersi del fatto che la buonanima di Nilla Pizzi non possa più dire la sua, il progressivo indebolimento delle cotonature (maschi e femmine, tutti scialbi) le sembra una circostanza sospetta. Deplorevole anche l’assenza delle maniche a balze sfoggiate da Romina Power, per non parlare della nostalgia canaglia delle sottane e delle tutine in comoda fibra elastica che con tanta cura e disinteressata prodigalità l’Anna Oxa ha sfoggiato per anni affinché "le caaaaaaaare massaie" (citando le amate gaffe di un altro grande assente, Mike Bongiorno) potessero trarre ispirazioni fallaci, sublimate poi in cucina consumando quintali di Domopak per conservare gli avanzi.

La signora Montinaro è una sconsolata fedele di Sanremo, da anni la prima - come l'ultima - serata del Festival le permette di fare il conto di quegli avanzi. Avvolta nel Domopak ci è finita pure la sua famiglia: le figlie sono cresciute e pure le nipoti, ne è passata di acqua sotto i ponti da quando Miguel Bosé mandava all’aria le loro diplomatiche transazioni ormonali dallo stato d’infanti a quello di adolescenti.
Quando la signora Montinaro era giovane, aspettava il Festival come il bis della vigilia di Natale, l’occasione per impressionarsi con i bei vestiti, la mimica dei cantautori con l’aria dei sopravvissuti al matador, le spalline di Bobby Solo. Santi numi, che tempi!
Poi il Festival è entrato in una penosa decadenza e intanto il telecomando è passato dai modesti agricoltori alle maestrine di provincia, dalle casalinghe alle donne rampanti, dai Capelloni agli Emo. Anche Lecce è cambiata, sono cambiati i sindaci, non c’è più il vecchio mercato coperto, hanno fatto le rotatorie, le aiuole, i pali, proprio come le scenografie del Teatro Ariston, le montature degli occhiali dei conduttori, le melodie dei ritornelli, le voci delle annunciatrici, le facce delle figlie della signora Montinaro, le abitudini delle sue nipoti che ora lavorano al Nord e non tornano mai nel Salento, manco per le vacanze comandante.

Ci mancherebbe, son persone moderne col sentimento prudente. Ma quest’anno, Paola, la più grande delle sue nipoti, una trentacinquenne che ha trovato un bel posto da infermiera vicino Milano, ha preso le ferie in concomitanza con la programmazione del Festival della Canzone Italiana, perciò ieri sera a casa Montinaro è stato tutto come una volta. La tavernetta è tornata agli antichi splendori, le bruschette al peperoncino sono state efficaci, un bicchiere di vino con un panino la felicità. Ed è così che, in un certo senso, la signora Montinaro si è accorta di subire insieme a tutta la sua famiglia le conseguenze di Sanremo.
Sedersi a guardare Sanremo è stata la cosa più pericolosa che ha fatto insieme ai suoi cari nell’arco della vita, perché così ha fabbricato ricordi misti a pixel, irradiati da un albore azzurrino, e poi, e poi, e poi sarà come morire.

Seguito in tutta Italia da migliaia di pupille esterrefatte, il Festival per la signora Montinaro, in una tavernetta anonima dietro la Stazione di Lecce, ieri sera è stato un pendolo. E forse anche un bilancio tardivo di indubbia importanza in tempi in cui i supplementi si sono esauriti perché si è esaurito tutto, compresa lei. Lei si sente proprio esaurita. Ma ieri sera no, ieri sera per un momento, durante la sigla di coda del Festival, tutto le è sembrato di nuovo possibile - la minestrina che preparava alle ragazze, la risata di suo marito che non c’è più e sta con Mike in paradiso, il profumo di borotalco sulle mani della sua antica madre che cantava stendendo i panni imitando Modugno - tutto è stato di nuovo come fu, persino gli argomenti.
Si è concessa le rettifiche della memoria, per giunta, ha usato l’edizione 2013 di Sanremo come una tintoria degli anni andati.
Durante la pubblicità, la signora Montinaro si è fermata un momento in cucina, con la scusa di dare i croccantini al gatto, per riprendere fiato.
Se piangi, se ridi, io sono con te, perché sono parte di te, ricorda sempre quel che tu fai, sopra il mio volto lo rivedrai. Applausi, sigla.