"Stagioni", Rêverie Duo: cose che non si possono dire, ma si possono suonare

di Luisa Ruggio

Ecco un episodio musicale significativo che dice l’indipendenza di due compositori, Valerio Daniele e Redi Hasa, ovvero il Rêverie Duo che ha firmato un disco impareggiabile nel suo senso del suono: “Stagioni”.
Nove tracce di musica necessaria, altissima, che sembra uscita dalle pagine di quel romanzo di Pascal Quignard, adattato poi per il cinema, “Tous le matins du monde”, la storia di due musicisti, un allievo e un maestro che non si lascia impressionare dal talento e che per anni, ritirato nel suo eremo persegue – lontano dai clamori di corte – il terribile potere della musica, in grado di riconvocare persino i morti. Di questi tempi, sarebbe il caso che la musica provasse a riconvocare i vivi, quelli che hanno le orecchie ma non sanno bene cosa farci. La professionale compostezza di Daniele e Hasa (rispettivamente chitarra acustica e violoncello) è la stessa del maestro che nella storia di Quignard prendeva a schiaffi nientedimeno che Marin Marais, il compositore vissuto tra XVII e XVIII secolo, musicista da camera del re Luigi XIV.

Ogni brano di “Stagioni”, infatti, sembra traghettare una postilla non trascurabile per chi è ancora predisposto a sentire; qualcosa che è tutta storia nostra e riguarda quello che crediamo, erroneamente, una forma di vivacità musicale che muove nel Salento o dal Salento. E’ curioso e persino crudele che chi firma Musica, volendo attenersi ai fatti, non combaci con quello che significa per il grande pubblico l’ascolto. Sì, molto materiale viene prodotto in questo bordo di mondo che si crede diversamente centrale, ma i creatori veri sono pochissimi, Valerio Daniele e Redi Hasa lo sono, nel senso che hanno creato in “Stagioni” dei mondi sonori in grado di far scolorire ferocemente tutto un filone di tentativi urlati, persino da musicisti talentuosi, eppure incapaci di stregare. Non è un caso, forse, che questo album sia stato prodotto da un’etichetta inglese, Slam Productions, nessun altro nel Salento come nel resto d’Italia era stato in grado di percepirne l’evidente grandezza. Una grandezza già in nuce nei titoli dei nove brani che costituiscono l’album: La barchetta di carta, Il ritorno, Rêverie, Stagioni (che diventa il titolo dell’opera), Baci e ferriglia, Dodici voci, Il valzer dell’arancio, Frymmemarrje, Il resto delle cose.

Fermatevi e ascoltate, prima di tutto, queste parole, portano dentro le galassie di significati che Valerio Daniele e Redi Hasa hanno vissuto, scoperto e messo in musica per noi. La loro arte non la troverete nei festival alla moda e nemmeno nei locali che macinano eventi e nei teatri che promettono programmazioni stitiche, oziose, prudentemente uguali come calendari fermi al millenovecentoqualcosa. La loro arte dovrete cercarla, non è un riempitivo di circostanza, non si è lasciata addomesticare dall’incultura profonda di un pubblico eventuale. Una volta ascoltate le nove tracce, gliene sarete riconoscenti. Il tema centrale di quest’opera è la vita che cambia discorso in continuazione e che costruisce sulle assenze, come la poesia. “Stagioni” è una raccolta di brani poetici, ma è anche un trattato di filosofia, un omaggio al pensiero di Gaston Bachelard e alla sua “Poetica della rêverie”. Rêverie o fantasticheria, immaginazione, abbandono al flusso del sogno a occhi aperti ovvero il lievito dell’opera letteraria, perché “è proprio nelle rêveries che siamo degli esseri liberi”.

Capite quindi che quest’opera firmata dal Duo Rêverie promette molto, forse tutto e va a punto sul campo delle partite impossibili che chi lo ascolta si mette a giocare, inevitabilmente, nella mente. Ormai è evidente che, negli ultimi tempi, in fatto di musica i norvegesi dettano legge come fu a suo tempo per gli americani, complice il dato geografico e la ricchezza di stimoli. Perciò colpisce, fuori dal mercatone della cultura, questa musica fortemente eversiva in faccia a tanta produzione evasiva. Elegante e brutale, una musica perturbante che indica quanto ancora possiamo sorprenderci ascoltando l’opera di due artisti con la schiena dritta, ai quali non importano le interviste, la visibilità a ogni costo, la mondanità provinciale del mondo musicale che disertano per lavorare ai loro impegni misurati e al loro modo discreto, bello, di essere grandi. Da questo loro dissentire silenzioso viene un disco raro, da non perdere, da cercare. Le biografie dei due musicisti in questione sono romanzi involontari, un’epopea piena di talento, persino il talento della sopravvivenza, cose che non si possono dire, cose che si possono suonare. Il resto è riassumibile in “Stagioni”.