La scrittrice Luisa Ruggio ci racconta del Collettivo Rosa dei Venti

Collettivo Rosa dei Venti

Ieri pomeriggio eravamo tra il pubblico del Teatro del Carcere di Lecce “Borgo San Nicola” per "Vide Cor Meum", il Terzo Studio del Collettivo Rosa dei Venti, scritto e teatralizzato dai detenuti partecipanti al Laboratorio stabile di Scrittura e Lettura Mondo Scritto a cura della scrittrice e giornalista Luisa Ruggio, coadiuvata nella ricerca fotografica da Veronica Garra, in collaborazione con la Direzione della Casa Circondariale.

Il Terzo Studio è frutto delle attività avviate dal 2017 nella Biblioteca della sezione maschile del carcere, andato in scena ieri pomeriggio, 5 dicembre 2018, nel teatro del carcere di Borgo San Nicola.

La domanda che muove la ricerca laboratoriale vissuta dal Collettivo Rosa dei Venti:
Chi di noi può dire di non aver mai fatto un colloquio con la propria ombra?
Chi può dire di essere riuscito ad abbracciarla o a dimenticarne la voce dopo averla combattuta?

Quell'ombra è il cortocircuito che ci connota, lo specchio in cui si affacciano le nostre età, la memoria, tutto quello che l'ha nutrita. Perché esiste qualcosa, in ciascuno di noi, che ci induce a essere in un certo modo, a fare certe scelte, a prendere certe vie, ed è il daimon, il demone custode che riceviamo come compagno prima della nascita, secondo il mito di Er raccontato da Platone. Il daimon è la nostra vocazione profonda, quel senso di chiamata che spesso non capiamo o non riusciamo a riconoscere. Il Collettivo Rosa dei Venti torna in scena portandolo in dono in un cerchio di storie paradigmatiche che sono in parte un diario spaginato e, soprattutto, il tentativo di dialogare con i daimon che abitano le nostre ombre, alla stregua dei luoghi - i paradisi perduti, la casa, i quartieri d'infanzia, la scuola, il carcere - in cui siamo rimasti sospesi su un senso di destino. Un analogo incantesimo genera l'innamoramento per una destinazione - l'Itaca di Ulisse - o per una persona - Beatrice per Dante. La voce del demone custode, proprio come quella delle anime gemelle che scegliamo al primo sguardo, è fatale.

Abbiamo intervistato la colonna portante del Collettivo Rosa dei Venti la scrittrice e giornalista Luisa Ruggio che da due anni ha dato vita al Laboratorio Stabile di Lettura e Scrittura Creativa Mondo Scritto nella biblioteca e nella sala cinema della sezione maschile del carcere di Lecce.

Il Collettivo Rosa dei Venti torna in scena oggi, Mercoledì 5 Dicembre, portando in dono un cerchio di storie paradigmatiche che sono in parte un diario spaginato e un tentativo di dialogare con i daimon che abitano le nostre ombre, alla stregua dei luoghi.
Quale cambiamento ha prodotto questa esperienza in Luisa Ruggio sul piano emozionale?

I mondi che mi hanno formato in questi anni, pur essendo capaci di grande Bellezza (penso all'editoria, oppure al telegiornalismo ,penso ai cinema di provincia, gli spettacoli da recensire nei teatri, le redazioni che ho attraversato, tutti quelli che ho incontrato e sono stati involontariamente dei maestri) sono figli di tutta questa fretta produttiva, questo condensato di individualismo, questo culto dei numeri primi, questa diseducazione sentimentale che inizia dal primo giorno in cui ognuno di noi è chiamato ad indossare una divisa (per esempio il primo grembiule di scuola) e gestire un ruolo credendo fermamente in quel che chiamiamo risultato o bilancio o share o incasso o successo. Non c'è in questi mondi lo spazio per l'inciampo, per ciò che incrina e rallenta o riporta ad un ritmo umano le nostre vite. Se apri un libro, sei costretto a farlo, devi rallentare, entri nel tempo scandito dal racconto di chi scrive. Se qualcuno ti racconta una storia, ti restituisce il senso di quello che siamo. "Un uomo è la sua storia," diceva Rina Durante, "e deve tenersela stretta". E poi deve condividerla, farne dono, scambio, travasarla, metterla a dimora affinché possa diventare un albero. I mondi che ho attraversato, sembrano parlare di molte cose, ma non sempre dicono qualcosa. La parola narrazione oggi è sulla bocca di tutti, ma come possiamo narrare senza avere radici e fede nel genere umano? L'esperienza di ideazione, progettazione, fondazione, avvio e cura quotidiana del Collettivo Rosa dei Venti, per me è da due anni un tentativo di rispondere a questa domanda, un tentativo di fare spazio, preparare il terreno come un contadino, per quelle radici umane.

Quanto è cambiata la percezione della realtà di Luisa Ruggio dopo due anni di intenso lavoro con il Collettivo Rosa dei Venti?

La percezione della realtà si è dilatata, come quando osservi a lungo il fuoco o viaggi per settimane senza più guardare l'orologio, senza più rete, senza campo, senza possibilità di essere raggiunto da una telefonata, da un messaggio, senza più il respiro corto delle ore che viviamo credendoci spesso così in gamba, così impegnati, così necessari, perdendo di vista facilmente le minuscole cose che contano. Ma proprio minuscole. La conversazione con la propria madre, poter abbracciare un fratello, la libertà di andare a vedere il mare, così su due piedi. Uno non ci fa caso, finché non glielo tolgono. Io sono una privilegiata, posso farne esperienza, ho scelto di farne esperienza, senza essere privata di queste libertà. Il carcere è un microscopio, ti insegna a mettere a fuoco l'infinitamente piccolo e rivoluzionario significato del tuo esistere.

In una intervista hai dichiarato "Per me è come respirare. Imparo da loro". Cosa hai imparato in questi anni?

Aria dentro, aria fuori: è la prima cosa che facciamo per vivere. Appena nati, respiriamo, è incondizionato. Ma ci vuole una vita intera per imparare a trovare il nostro vero respiro. Io, per dirti, mi sono accorta che respiro davvero solo quando scrivo, quando leggo, quando strimpello qualcosina al mio pianoforte senza mai farmi scoprire da nessuno, quando cucino, quando gioco con i miei gatti, quando cammino soprattutto. Nei mondi in cui mi sono lasciata plasmare, non sempre respiravo. Certi giorni sono apnee, lo sappiamo tutti. Lavorare con il Collettivo Rosa dei Venti significa respirare, è come respirare. Io imparo da loro a respirare in ogni momento, non solo nei momenti in cui sono rilassata e faccio le cose che amo, ma anche nei momenti di massima pressione emotiva e mentale. Respiro.

I tuoi allievi da quale "angolazione" riescono a rielaborare il proprio vissuto?

Questo bisognerebbe proprio chiederlo a loro, ma a furia di vederglielo fare ogni giorno posso tentare di farmi portavoce di una possibile risposta. L'angolazione che ci consente di rielaborare il nostro vissuto è proprio un grandangolo, non è una battuta, dico davvero. Il grandangolo (ecco la deformazione professionale) consente una ripresa più ampia, una maggiore profondità di campo, una prospettiva alterata che esagera la proporzione ingigantendo i soggetti rispetto allo sfondo. Sul piano pratico della scrittura, questo significa rovesciare ciò che ci hanno detto essere il nostro fallimento personale, la nostra stortura di fabbrica o il nostro errore affinché possiamo spingerlo sullo sfondo dando spazio all'insieme panoramico della nostra storia, il nostro vissuto. Non più giudicandolo, ma accogliendolo tutto nell'inquadratura. Per dirla alla Marquez: "Vivere per raccontarla".



Visualizza questo post su Instagram


#live dalla Casa Circondariale di Lecce: VIDE COR MEUM | COLLETTIVO ROSA DEI VENTI TERZO STUDIO | PROVA APERTA “Chi di noi può dire di non aver mai fatto un colloquio con la propria ombra? Chi può dire di essere riuscito ad abbracciarla o a dimenticarne la voce dopo averla combattuta? Quell'ombra è il cortocircuito che ci connota, lo specchio in cui si affacciano le nostre età, la memoria, tutto quello che l'ha nutrita. Perché esiste qualcosa, in ciascuno di noi, che ci induce a essere in un certo modo, a fare certe scelte, a prendere certe vie, ed è il daimon, il demone custode che riceviamo come compagno prima della nascita, secondo il mito di Er raccontato da Platone”

Un post condiviso da SalentowebTv (@salentowebtv) in data:

Quanto di questo percorso emozionale e lavorativo entrerà nel prossimo romanzo di Luisa Ruggio?

Questo è come quella vecchia storiella del bambino che tentava di raccogliere e spostare il mare con un cucchiaino. E gli adulti lì a sorridere, con tenerezza, avendo perduto la fede che spinge il bambino a ripetere un atto apparentemente così assurdo e impossibile. Quanto di tutto il mare emotivo di ciò che ho vissuto e vivo tenterò di raccogliere con un romanzo? Stavolta sono io a sorridere, con tenerezza, ma non perché ho perduto la mia fede negli atti apparentemente impossibili, anzi. Al contrario, ne ho seguito il sonar e continuo a farlo. I veri romanzi siamo noi e forse un giorno, se sarò fortunata, scoprirò che sono riuscita a raccogliere abbastanza mare. Un cucchiaino sarebbe già troppa grazia.

linked videos

Sold out ieri sera ai Cantieri Teatrali Koreja per l'anteprima teatralizzata del nuovo romanzo di Luisa Ruggio, Notturno, edito da Besa. #AspettandoNotturno #salentowebtvL'attesa è finita.…
L’ex carcere di San Francesco ha riaperto le sue porte, presso il Convento dei Minimi a Lecce, attualmente di proprietà della Guardia di Finanza di Lecce. Un’occasione straordinaria per il Salento…